Da qualche settimana a questa parte è esploso il caso dei videogiochi in Cina. A causa dell’elevato numero di ore che i ragazzi erano soliti trascorrere con il gamepad in mano, le autorità cinesi hanno vietato ai minori di 18 anni di utilizzare i videogiochi dalle 22:00 alle 8:00 del mattino, concedendo appena un’ora e mezzo di gioco nei primi giorni della settimana, che viene raddoppiata nel weekend o durante le festività. Ad agosto di quest’anno sono arrivate però nuove strette: i più giovani non possono giocare nemmeno un minuto dal lunedì al giovedì, mentre negli altri giorni è concessa un’ora dalle 20:00 alle 21:00. Con le moderne modalità online, le identità dei giocatori sono sempre note e di conseguenza è possibile monitorare molto facilmente il reale tempo di utilizzo di dispositivi e console.
Una sorta di attacco alla democrazia e alla libertà, ma volto a salvaguardare il rendimento scolastico. Per questo motivo l’Europa ha accolto con stupore la scelta cinese, individuando però anche degli spunti di riflessione. Nel “Vecchio Continente” i gamer sono milioni e anche da noi c’è chi spende buona parte della giornata a giocare, a discapito di studio e lavoro. Per questo si sta ipotizzando di redigere qualche dettame per i giovani, preservandone comunque al massimo i diritti.
Servono dei limiti. La Cina potrebbe aver esagerato a prima vista, ma per molti ha dato invece l’esempio. Sono parecchie le attività alle quali i minori non hanno accesso in Italia: si pensi ai centri scommesse, con quella gamma di slot machine sempre pronta a rinnovarsi o con quei dispositivi utili per compilare sul posto le schedine virtuali. Anche il divertimento videoludico va regolamentato.
Le restrizioni cinesi hanno avuto ripercussioni importanti sulle grandi aziende produttrici di videogiochi. Il mercato ha conosciuto stravolgimenti considerevoli e c’è chi è rimasto senza lavoro. Non sono pochi gli aspetti negativi di questa scelta che l’Europa vorrebbe evitare. Insomma, non è così semplice ridurre la mole di gioco in Italia, Spagna, Francia o Germania. Il dibattito, però, è ormai cominciato e qualche politico se ne sta interessando seriamente. Anche l’ex ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione ha chiesto misure di sicurezza per i videogiochi e i media hanno raccolto il suo grido d’allarme. I videogiochi diventeranno ancora più complessi e di conseguenza coinvolgenti nei prossimi anni. Il rischio che in tanti vi si tuffino a capofitto non è da trascurare.
Già in questi anni abbiamo assistito al fenomeno di streamer che hanno cercato la popolarità riprendendosi su Youtube o Twitch mentre giocavano. C’è chi lo fa perché coltiva effettivamente una passione e chi prova a farne un lavoro comodo, guadagnando sulle visualizzazioni e sulle possibili partnership commerciali che ne derivano, ma si tratta di casi piuttosto rari. I videogame non sono più un semplice oggetto di divertimento, ma sono diventati anche un mezzo per comunicare e conoscersi, tanto che lo spirito agonistico che filtra dai vari tornei ufficiali in giro per il mondo ha portato persino alla programmazione di sessioni di eSport per le prossime Olimpiadi di Parigi. No, non può passare il messaggio che si possa passare tutta la propria vita a giocare.