Semi di cannabis: quali sono gli usi consentiti
Da quanto è entrata in vigore la legge n. 242 del 2016, sul mercato italiano…
Da quanto è entrata in vigore la legge n. 242 del 2016, sul mercato italiano sono arrivati numerosi derivati ‘light’ della canapa sativa (l’unica varietà ammessa alla coltivazione). Questo genere di prodotti rientra nell’ambito della legalità in quanto caratterizzato da una concentrazione di THC prossima allo zero (0,5%). Il THC (tetracannabinolo) è il principio attivo responsabile degli effetti psicotici dei derivati della cannabis – marijuana e hashish – ma nei prodotti ‘light’ risulta praticamente innocuo.
Tra i vari prodotti ‘legali’ in circolazione ci sono anche i semi di cannabis, attorno ai quali aleggia molta incertezza per quanto concerne gli usi consentiti. In questo articolo, vediamo nel dettaglio in che modo possono essere utilizzati nel rispetto delle attuali normative vigenti.
Le diverse varietà di semi di cannabis
In commercio vi sono numerose varietà di semi. Si possono dividere in tre grandi categorie: regolari, femminizzati e autofiorenti. I primi sono derivati da una pianta femmina impollinata da una pianta di genere maschile. Dai semi femminizzati, invece, è possibile ottenere esclusivamente piante femmine; infine i semi autofiorenti (anch’essi femminizzati) sono contraddistinti dalla particolare capacità di fiorire a prescindere dal periodo di esposizione alla luce solare.
Quali sono i semi ‘legali’
Per individuare quali sono le varietà di semi di cannabis legali, è necessario fare riferimento alla normativa attualmente in vigore in Italia. La già citata Legge n. 242 del 2016, recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”.
Queste ultime sono dirette alla promozione dello sviluppo della filiera agricola e produttiva della Canapa Sativa L., l’unica varietà che è possibile coltivare secondo le norme comunitarie. Dalla canapa coltivabile legalmente è possibile ricavare, ai sensi dell’articolo 2 della legge di cui sopra, i seguenti prodotti: alimenti, cosmetici, semilavorati (canapulo, cippato, fibre, polveri, oli e carburanti), materiale per il sovescio, per lavori di bioingegneria o bioedilizia. In aggiunta, è possibile adoperare la canapa per realizzare coltivazioni a scopo didattico, florovivaistico o per la bonifica di territori inquinati.
Per l’utilizzo alimentare, il Ministero della Salute ha emanato (a dicembre 2019) un apposito decreto, per individuare i livelli di THC ammessi negli alimenti. Nel primo allegato al testo pubblicato dal dicastero sul proprio sito istituzionale si legge: “gli alimenti derivati dalla canapa sono i seguenti: semi, farina ottenuta dai semi, olio ottenuto dai semi”. Il secondo allegato stabilisce che, fatta eccezione per gli oli, negli alimenti di cui sopra è ammesso un quantitativo di THC pari a 2 mg per kg; tale valore vale sia per i semi, “inclusi quelli triturati, spezzettati, macinati diversi dalla farina”, sia per gli integratori contenenti derivati della canapa. In sostanza, quindi, in Italia sono legali i semi di canapa che, integri o lavorati, presentino un tasso di THC inferiore o pari allo 0,2%.
È possibile acquistare sementi che non rispettino tali parametri? La risposta è sì, e non deve sorprendere. In tal caso, però, bisogna rivolgersi a rivenditori autorizzati e certificati oppure a portali specializzati nella vendita semi di cannabis legale, come ad esempio Prodotti-cannabis.it. Acquistare tramite canali trasparenti e tracciabili, infatti, consente di conoscere quali sono le reali caratteristiche del prodotto.
Se il livello di tetracannabinolo è superiore alle quantità indicate dal decreto del Ministero della Salute, in base alle indicazioni del rivenditore, è possibile acquistarli solo a scopo collezionistico. In altre parole, non è possibile lavorarli per utilizzarli come alimento né, tantomeno, metterli a dimora per allestire una coltivazione privata. Questo perché gli effetti sul consumatore sarebbero assimilabili a quelli sortiti dalle sostanze stupefacenti, illegali nel nostro paese. A tal riguardo, si registra una sola sentenza della Cassazione quale ‘spiraglio’ verso una reale depenalizzazione della detenzione della cannabis che, al momento, non basta di certo a ritenere legali coltivazioni di varietà non autorizzate di canapa.