Il movimento del vino naturale è in costante crescita, e questo è dovuto, come ci spiega Apewineboxes, leader nel settore della vendita online, ad una moltitudine di fattori che possono essere ricondotti a pochi punti principali.
C’è sempre più richiesta di vino naturale, la domanda verte sempre maggiormente verso un prodotto che sia espressione del terroir da cui proviene, prodotto con amore e quindi di alta qualità, tipico, possibilmente senza residui chimici.
Il vino naturale è un prodotto al 100% artigianale, è connotato da un produzione molto limitata rispetto ai giganti della produzione industriale, quelli per cui un vino viene assemblato proprio come fosse la portiera di una macchina o un pacchetto di patatine.
Bassa produzione equivale ad alta qualità, nella stragrande maggioranza dei casi, ed il motivo è piuttosto ovvio: amore e cura produttiva. Al contrario una produzione massiva è spesso sinonimo di dozzinale, di produzione in scala. Con tutto ciò che questo comporta.
In un mondo in cui la globalizzazione, anche sensoriale, la fa da padrona, i vini di qualità da tradizione o tecnica ancestrale vengono etichettati come difettati, facendo di tutta l’erba un fascio ed ignorando che quelli più importanti e costosi al mondo sono ottenuti proprio con quest’approccio, eliminando la chimica dalla vigna e dalla cantina, ripudiandola.
La piaga dell’omologazione gustativa si propaga anche grazie alla complicità del sistema comunicativo di settore, ancora troppo legato, almeno in Italia, ad un punto di vista obsoleto ed indissolubilmente collegato alla massività produttiva. I social hanno poi accelerato questa tendenza al conformismo anche grazie al lavoro onesto ma impreciso di sedicenti wine bloggers dalla dubbia o inesistente preparazione in materia.
Malgrado ciò la richiesta di vino naturale aumenta in maniera decisa di anno in anno, crescendo anche nell’utente la consapevolezza di voler ricercare un prodotto unico, di pregevole fattura e che sia genuino.
Erroneamente e a causa di questa comunicazione così fuorviante siamo stati portati a ritenere come tipici prodotti che non solo tipici non sono, ma che troverebbero una dimora migliore nella definizione di surrogato di vino.
Non può certamente essere considerato vino il prodotto ottenuto dallo sfruttamento massivo in vigna e da una produzione in cantina che si identifica con lieviti acquistabili nei migliori marketplaces e prevede tot kg di solforosa, anch’essa acquistabile online, da riversare nel tino o in bottiglia.
Il vino, per non incappare nella definizione di surrogato, deve essere prodotto per bene, rispettando la natura nel vigneto, ed il cliente in cantina.
In vigna deve essere bandita la chimica di qualsiasi genere ed incrementata la presenza umana, al fine di agevolare con minimi interventi la fase vegetativa prima e la qualità del grappolo poi.
La vendemmia deve essere manuale, a bassa resa, perchè vanno selezionati solo i grappoli migliori.
In cantina la fermentazione alcolica e quella malolattica debbono avvenire in maniera spontanea grazie ai lieviti autoctoni presenti sui muri, nelle tubature, nelle vasche o anche nelle botti.
Deve essere imbottigliato senza filtrazione né chiarifica, senza l’aggiunta di solfiti, essendo gli antiossidanti già presenti abbondantemente sulla cuticola di un uva ben curata nel campo.
L’industria chimica è un comparto da 3220 miliardi di euro all’anno, molti di quali provengono dall’agricoltura, ormai martoriata da prodotti nocivi; l’Italia è il terzo paese in Europa per l’utilizzo di chimica, urge stendere un velo pietoso su questo, auspicando che anche grazie alle nuove direttive europee tutto questo possa cambiare quanto prima.
Ci domandiamo se i vini naturali e quello biodinamici, con un approccio pulito e rispettoso della natura, in grado di produrre eccellenze senza utilizzo di materiale chimico, possano non esser visti di buon occhio proprio da chi i prodotti chimici li produce arricchendosi a dismisura ai danni del consumatore.
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