Greenpeace: “Eni era consapevole da decenni dell’inferno climatico causato da petrolio e gas”
I documenti di Eni rivelano che la società fosse consapevole del suo impatto ambientale.
Erano gli anni ’80, quelli in cui il boom economico sembrava avesse dato i suoi frutti e ci si sentiva invincibili. Sorgevano dal nulla società a responsabilità limitata, Wanna Marchi aveva il suo show e Back to the future era nelle sale del cinema.
Tuttavia, proprio in quegli anni, Eni veniva a conoscenza dell’impatto ambientale che avrebbe comportato la sua attività e, in generale, l’estrazione di combustibili fossili, gas e petrolio. Ciononostante, l’azienda ha deciso di secretare tutto e procedere per la sua strada, per perseguire un vantaggio economico a breve termine.
Ne siamo a conoscenza grazie a Greenpeace e ReCommon, che hanno analizzato alcuni documenti la cui paternità è attribuita ufficialmente al colosso Eni. Vi sono inoltre altri scritti, corrispondenti a pubblicazioni della stessa società, consultabili presso il CNR, in cui viene esplicitato il pericolo costituito dall’attività di consumo di tali risorse.
L’estrazione è però proseguita e non solo: già negli anni ’70, Eni è entrata a far parte di IPIECA, un’organizzazione che coinvolge numerose aziende petrolifere guidate – ma non ci sono ancora prove certe al riguardo – dal colosso Exxon. Exxon è una società statunitense che combatte la verità scientifica sul clima e il riscaldamento globale.
Greenpeace contro Greenwashing
Il greenwashing è un fenomeno che consiste nel manifestare un atteggiamento ambientalista, ma solo di facciata e, spesso, solo in seguito a comportamenti estremamente lesivi del bene del pianeta. Eni è stata spesso accusata di greenwashing. L’ultima volta è successo in occasione di Sanremo 2023.
Durante la kermesse, Eni ha investito su uno spazio pubblicitario per farsi portavoce di una svolta green sul piano energetico, presentando un nuovo progetto di Plenitude. Non è tutto. Un fulgido esempio di greewashing di Eni è l’iniziativa “Eniday’s Greenwood”: la società ha regalato una piantagione di avocado in Kenya, tramite la piattaforma Treedom.
Greenpeace fa causa a Eni
Le ricerche e gli studi degli esperti di Greenpeace e ReCommon certificano dunque la consapevolezza, perciò la colpevolezza, del colosso italiano, e tante altre come lui, nel complessivo depauperamento delle risorse energetiche, a vantaggio del profitto aziendale. Un pattern già individuato in “I crimini delle multinazionali” di Hans Weiss.
Pertanto, Greenpeace ha fatto causa a Eni e ai suoi azionisti di rilievo, ossia il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Prestiti Spa e a Cassa Depositi, con il fine di intimare loro di ridurre le emissioni e rispettare i limiti dell’Accordo di Parigi. Per saperne di più, ecco il link dell’inchiesta completa.