Carcere di Lecce, finge il pentimento per accoltellare alla gola la pm e fuggire
Il detenuto ha architettato un piano per fuggire dal carcere di Lecce: fingere il pentimento e accoltellare alla gola la pm a colloquio.
È successo a Lecce. Il detenuto di 42 anni di nome Pancrazio Carrino ha tentato la fuga mettendo a rischio la vita della procuratrice Carmen Ruggiero. Il piano era semplice: ha finto di pentirsi per i crimini per cui è stato accusato, ossia l’operazione The Wolf, che finì per distruggere il clan Lamendola-Cantanna.
Quando Carrino ha comunicato ufficialmente il suo pentimento, è stato fatto presente alla procura. Ne è conseguito un immediato colloquio con la pm del momento, Carmen Ruggiero. Quest’ultima è stata la fautrice della cattura di Carrino, nonché responsabile dell’inchiesta che ha condotto allo smantellamento del clan in questione.
Il piano di Carrrino, perciò, prevedeva che, durante il colloquio faccia a faccia con Ruggiero, l’avrebbe uccisa brutalmente accoltellandola alla gola. Ciononostante, il piano è saltato. Ruggiero non si era presentata, probabilmente perché sospettosa nei confronti del “pentito”, il quale aveva portato con sé un pezzo rotto di ceramica per compiere il delitto.
Tutte queste informazioni sono state poi fatte trapelare successivamente e corredate di alcuni dettagli, come ad esempio il fatto che Carrino abbia poi dovuto nascondere il pezzo di ceramica tra gli slip, rischiando di provocarsi da solo delle ferite piuttosto gravi. Sta di fatto che Carrino è poi stato fatto trasferire a Terni dopo questi avvenimenti.
Sicurezza nelle carceri
Negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla pandemia di Covid-19, si è molto discusso delle condizioni dei detenuti nelle carceri. In questo contesto si è poi inserito il discorso dei CPR, ossia i Centri Permanenza Rimpatri, dove vengono lasciati i migranti che non dispongono di documenti ufficiali di identità o di cittadinanza. Costoro sono in attesa di essere espulsi. Proprio qui si consumano pericolosi abusi di potere da parte di alcune forze dell’ordine.
Alcuni di questi sono stati documentati recentemente, presso il CPR di Milano. Sempre più intellettuali stanno dunque evidenziando (e criticando) una correlazione tra la possibilità delle autorità penitenziarie di esercitare violenza in luoghi detentivi come questi, ossia strutture prive di un controllo esterno da parte dello stato.