“Il tempo che ci rimane”: tra colonialismo, surrealismo e guerra
Il film è tornato su Rai Play con sorpresa di tutti gli utenti. Ha incantato tutti i nuovi spettatori con l’ironia e il surrealismo.
Scritto e diretto da Elia Suleiman, Il tempo che ci rimane è una storia raccontata nel 2009, ma ambientata molti anni addietro, a partire dal 1948. La data non è un caso, dal momento che la cronologia è importante in relazione alla trama trattata: la nascita di Israele.
Difatti, Suleiman è di origine palestinese. Costui è presente anche all’interno della pellicola in qualità di attore. Il film ricalca tutto il percorso della dominazione israeliana in Palestina, dal punto di vista della famiglia del regista. Ciononostante, la storia sorprende per altri elementi.
Da un punto di vista sceneggiaturale e di costruzione del personaggio, si è di fronte a una magistrale opera: i protagonisti non sono sovversivi, non sono la resistenza, bensì sono persone comuni che hanno visto la propria vita stravolta da un momento all’altro.
Attraverso la narrazione di più generazioni, Suleiman riesce a raccontare la storia palestinese con decisione, tristezza e placidità, fino ad arrivare al 2009, anno in cui è effettivamente stato pubblicato il film, ora presente su Rai Play, insieme ad altri film del regista.
Il surrealismo
L’ironia con cui la tragedia dell’occupazione si para davanti agli spettatori si mesce con la geniale trovata di individuare alcuni elementi critici dell’operazione israeliana, esasperandoli. Dunque, la volontà di trovare a tutti i costi gli “irregolari” si traduce in una ottusa paranoia.
Emblematico è l’episodio dei due uomini che pescano, condannati e perseguitati per pura diffidenza. Oppure, un episodio ancor più emblematico è quello del carro armato israeliano: in una scena, il cannone di questo carro seguiva pedissequamente un palestinese intento a parlare al telefono.
In conclusione
Il tempo che ci rimane è un film low budget, ma che si serve di tutta l’inventiva possibile per comunicare i concetti in modo chiaro e simbolico. Il risultato è un prodotto audiovisivo da brividi, che mette in scena una situazione drammatica che va avanti dal 1948 e continua tutt’oggi, con cui è possibile individuare analogie.
Infatti, le scene in cui vengono esplicitate le modalità di occupazione e le conseguenti situazioni di convivenza in determinate zone sono pressoché simili a quelle presenti prima del 7 ottobre in Palestina. Il film è tornato infatti in auge in seguito allo scoppio di questa nuova fase del conflitto.