Palestina, Rompere l’Assedio ha rivolto un appello all’università di Pisa: “Siamo dalla parte sbagliata della storia”
L’attivista e rappresentante di Rompere l’Assedio, Anas Kahlil ha parlato di diritto alla protesta e della situazione in Palestina.
Anas Kahlil è il rappresentate di Rompere l’Assalto, un collettivo universitario situato a Pisa. Questa mattina, il rettore dell’università di Pisa a concesso alla realtà politica di attivisti di poter tenere un discorso sui fatti di Pisa e sulla situazione in Palestina. A parlare è stato proprio Anas Kahlil, italo-palestinese e laureando in medicina.
“Ciò che è successo il 23 febbraio con le cariche della polizia ad un corteo pro Palestina è inaccettabile. In base all’art. 17 della Costituzione, tutti i cittadini hanno il diritto di riunirsi. Solo in epoca fascista era necessaria l’autorizzazione da parte dell’autorità pubblica” è stato il suo incipit per parlare delle aggressioni della polizia ai danni degli studenti.
Ha poi introdotto il tema del privilegio accademico: “Ringrazio per l’occasione che mi viene data e ribadisco l’importanza del manifestare: per la Palestina, per il clima, per l’università libera ed aperta. Siamo in uno spazio privilegiato libero ed autonomo con la sua libertà accademica. La libertà accademica è l’autodeterminazione di un popolo. Quella libertà è sempre stata un diritto negato ai palestinesi”.
Il conteggio del massacro ha poi spiazzato gli astanti: “A Gaza sono state rase al suolo 406 tra scuole ed università. Quasi 40mila palestinesi sono stati uccisi, di questi 14mila sono bambini, 26 ospedali, 65 cliniche e 163 ambulanze sono inservibili inutilizzabili. A Gaza, si amputano arti senza anestesia alla luce di un cellulare. Le donne partoriscono senza anestesia. Anche i cesarei si fanno senza anestesia”.
L’appello di Rompere l’Assedio
A nome del collettivo, Kahlil si è rivolto poi a Unipi: “Fate nuovi corridoi umanitari per proteggere la vita e le menti del popolo palestinese. Uscite dall’accordo della definizione operativa di antisemitismo Ihra, perché non siamo antisemiti, anche noi siamo semiti, ma siamo antisionisti.”
L’appello si è concluso con una chiamata all’azione imperiosa: “Recedete immediatamente da accordi o relazioni con le università che in Israele sostengono esplicitamente o implicitamente questo governo. Impegnatevi a mantenere alta l’attenzione sulla cultura palestinese con incontri da farsi quando questa viene calpestata. Se non agiamo rischiamo di rimanere dalla parte sbagliata della storia”.