Giornata Internazionale della donna, il corteo femminista abbraccia la causa palestinese
Il corteo femminista di domani abbraccerà anche la causa palestinese, in solidarietà con le donne palestinesi.
La Giornata Internazionale della donna cade l’8 marzo. In molti hanno celebrato questo giorno, nel corso della storia, offrendo mimose alle donne e tenendo discorsi di empowerment nei confronti delle stesse. Altri ancora, come succede tutt’oggi, hanno organizzato eventi e serate mondane per commemorare le donne.
Ciononostante, la “commemorazione” non è l’obiettivo con cui è nata la Giornata Internazionale della donna. Si tratta a tutti gli effetti di un giorno in cui sarebbe necessario ricordare e rinfoltire la lotta per eliminare le disparità di genere, sia da un punto di vista politico che economico. L’8 marzo è un’occasione per canalizzare la rabbia e protestare per diritti negati.
A tal proposito, nella giornata di domani, molte città italiane hanno organizzato un corteo, che tendenzialmente comincerà di primo pomeriggio. Ad accompagnare la manifestazione, lo sciopero di alcuni servizi fondamentali, come le linee ferroviarie. C’è già chi ha lamentato disservizi in merito, infatti.
Quello che ha fatto storcere il naso a molti è il fatto che, stando ad alcune organizzazioni transfemministe intersezionali, la manifestazione abbraccerà anche la causa palestinese. Ad esempio, Non Una Di Meno ha diramato un comunicato in cui palesa il sostegno alla Palestina, gravata dalla dominazione dell’esercito israeliano.
La propaganda israeliana sulla libertà
Israele si è fatta strada in molti organi politici che hanno aderito alla sua causa poiché, stando alle loro fonti, lo stato sarebbe il nuovo baluardo del progressismo. Difatti, il popolo israeliano si pregia di essere “la prima democrazia in Medioriente”. Ciononostante, secondo fonti differenti, tra cui Francesca Albanese, il genocidio del popolo palestinese si accompagna allo stupro indiscriminato delle donne.
Differentemente, Israele ha mosso una macchina propagandistica sui propri canali social, secondo cui gli arabi siano i nemici dell’emancipazione femminile, nonché dei diritti dei membri della comunità LGBTQIA+. Alcune comunità queer hanno risposto a questo tentativo di rainbow washing con cartelli, striscioni e manifestazioni che gridavano “Not in our name”. Citando Anas Khalil, è rischioso “Avallare una propaganda orientalista che narra sempre di un Islam pericoloso”.